Passaggio ad Est: Atene e l’Attica
La prospettiva dal quinto piano del caffè Utopia in piazza Syntagma ha il sapore di un milkshake alle fragole, soffice come solo in Grecia lo sanno fare. Sotto i taxi gialli più numerosi delle automobili ti ricordano che qui sei a casa perché non c’è possibilità di perdersi: un tassista greco saprà sempre come riportarti indietro.
Anche se i prezzi non sono più quelli di una volta – dopo la crisi tutto è aumentato – restano tra i più economici d’Europa: in nessuna capitale il tassametro parte da 1,50 euro. Per andare al porto del Pireo, ad esempio, una corsa in taxi (di 20 minuti) costa tra gli 11 e i 13 euro, solo per l’aeroporto che è fuori città si pagano circa 30/35 euro, ma conviene la metropolitana a 10 euro, con partenza sotto la piazza.
Atene qui ti apre le sue braccia senza chiedere molto in cambio. Tutti parlano l’inglese, masticano un po’ di italiano ma se sei invece tu a parlare greco ti fanno sentire una di loro. Basta ricordarsi che tra il greco antico e quello moderno passa la stessa differenza che c’è oggi tra il latino e l’italiano, tra lingua morta e lingua viva.
Lo slargo è pieno di oleandri che coprono l’odore della cannabis, perché i ragazzi fumano tutti e sono tutti uguali: scuri, stesso taglio alla Grease, stessa incazzatura sulla faccia. Certo molto diversi dai loro coetanei in servizio come euzoni, le guardie speciali sotto al Parlamento, così rassicuranti con il piglio immobile di protettori della Patria. Ma Atene è questo: una megalopoli di cinque milioni di abitanti, la metà di tutta la Grecia, che allungano lo sguardo oltre l’Oceano e lo ritirano poi sempre tra le colonne del Partenone.
E a proposito: bisognerebbe dire che ad Atene è rimasta solo l’Acropoli. Se anche fosse, varrebbe comunque la pena farci un salto. Visitare le Cariatidi (sei meno una, nel British Museum grazie a un lord scozzese che la rubò per adornare il suo salotto nell’800) nel nuovo museo di fianco al sito archeologico, girare per il quartiere ottocentesco della Plaka o tra i bar e le gallerie alternative di Psiri, fare shopping a Kolonaki, il quartiere commerciale e vip del centro. Oppure avventurarsi su fino a Likavitòsper guardare tutta la città, spingersi al Faliro nella nuova cittadella costruita da Renzo Piano (con fondi della Fondazione Stavros-Niarchos) e a Glyfada sul mare.
Un Uomo
“I zoí, i zoí” grida di gioia Alexandros Panagulis quando rivede il mare dopo anni di prigionia: uno dei ricordi più belli di Un Uomo raccontato da Oriana Fallaci. L’unica “ad aver scritto la verità su Alekos”, diceva il fratello minore di Panagulis, Stathis, incontrato trent’anni fa nella casa a Glyfada dove nacque la storia d’amore tra il patriota greco e la giornalista italiana.
Ad Alekos è dedicata la fermata di Agios Dimitrios della linea 2 della metro di Atene, vicino al punto di via Vouliagmeni dove fu ucciso con la simulazione di un incidente d’auto il 1 maggio del 1976. La sua memoria è così viva da queste parti che l’attrice Vana Barba (la bellissima Vassilissa del film premio Oscar “Mediterraneo”), oggi assessore alla Cultura di Glyfada, ha in mente il progetto di un monologo teatrale a lui dedicato, mentre visitatori di tutto il mondo che l’hanno conosciuto soprattutto grazie al libro si avventurano su via Anapafseos per rendere omaggio alla sua tomba, nel monumentale Primo cimitero di Atene, dove una fotografia lo ritrae come ai tempi della Fallaci e un’epigrafe ricorda che aveva appena 36 anni quando morì, riportando in calce “Nemesi/Non dimenticare/Non devi dimenticare/Mai dimenticare”, versi scritti dall’eroe della Resistenza greca mentre era in carcere a Egina nel marzo del 1971.
Accanto c’è lo stadio del Kallimarmaro, ovvero del bel marmo, il primo delle Olimpiadi Moderne. Qui gli ateniesi vengono a fare jogging, incontrano gli amici, portano a passeggio il cane: siamo a Pagrati, un quartiere giovane e pieno di vita, e sul tetto di una delle case che affacciano su Platia Varnava, piazza trendy e piena di baretti, ci facciamo raccontare dalla giovane Cecilia Placourakis come si vive qui e perché la Grecia è sempre uguale, nonostante la crisi.
La Grecia che non si conosce
Tre montagne, sette colli, tre fiumi scomparsi. Questo ci si lascia alle spalle quando si va via da Atene alla ricerca di luoghi meno conosciuti. Sulla strada l’EMST, il Museo Nazionale di Arte Contemporanea aperto nel 2016 dopo 19 anni di lavoro, in una ex fabbrica della birra Fix. E poi l’ospedale per le malattie cardiache costruito dalla fondazione Onassis, il complesso di Renzo Piano, lo Stadio della Pace con il caratteristico tetto a onda, realizzato a Neo Faliro. Direzione Nord-Ovest: ancora una volta immagini di una città moderna intervallate dai ricordi di ciò che fu nell’antichità, come il monastero di Daphne fondato su un tempio di Apollo all’inizio del VI secolo, chiese del quarto e quinto secolo dopo Cristo, scatolette votive per ricordare con le icone votive chi è scomparso in un incidente d’auto o, con una croce, chi si è salvato. Strade fiancheggiate da ulivi per sostare, almeno qualche minuto, sul ponte del Canale di Corinto, costruito alla fine dell’Ottocento per evitare la circumnavigazione del Peloponneso (che ha trasformato di fatto in un’isola): lungo 6 chilometri e largo 25 metri, viene attraversato ogni anno da 11mila navi a sensi alternati (perché in due non ci passano).
I greci vorrebbero allargarlo per farci passare anche le navi da crociera. Attraversando una strada di vigneti, arance e limoni si arriva a Micene, nella regione dell’Argolis. E si ha la sensazione di essere in gita scolastica, mescolati a turisti con gli occhi a mandorla e a tantissimi studenti, soprattutto italiani e francesi, che qui vedono per la prima volta la famosa Porta dei Leoni.
Tutti in fondo l’abbiamo studiata al liceo, però fa un certo effetto, quando la si attraversa, pensare che sia la stessa porta attraversata da Agamennone quando è tornato dalla guerra di Troia, combattuta dagli achei attorno al 1200 a.C. per l’oro e non certo per la bella Elena. E sempre a Micene si scopre che vivevano i Ciclopi: impossibile, altrimenti, costruire le mura della città con blocchi di 3 tonnellate ciascuna, spesse dai 3 agli otto metri.
Non lontano da Naplio, che dal 1828 al 1834 fu la prima capitale della Grecia dopo l’occupazione turca e oggi è una ridente cittadina di mare a sole due ore di auto da Atene, c’è Epidauro, sede del teatro realizzato nel 350 avanti Cristo, con un’acustica tale da non rendere indispensabili i microfoni: qui si tiene il Festival del Teatro Classico più importante della Grecia, dove l’Italia è assente da anni a causa della crisi. Vi ritornerà il 17- 18 agosto con l’Edipo a Colono, realizzato dall’Istituto Nazionale per il Dramma Antico di Siracusa, assieme all’importante scenografo greco Kokkos, nell’ambito dell’iniziativa culturale Tempo Forte voluta dall’Ambasciata d’Italia ad Atene per rilanciare il dialogo tra i due Paesi.
E non ci spingiamo a Olimpia, a Missolonghi dove morì in battaglia Lord Byron, ma restiamo nei dintorni di Epidauro per arrivare a Kalloni, un paesino di spiagge e di pescatori (da non confondere con l’omonimo sull’isola di Lesbo).
Qui si mangiano ostriche, aragoste e polpi ai ristorantini, si può pescare con la gente del luogo e si può andare a Trizina a godersi la vita in uno dei dieci beach bar migliori della Grecia, secondo la classifica del The Guardian: il Cantinais che Gregory Venieris, un musicista di rembetika (la tradizionale musica greca, paragonata al blues) porta avanti con un amico. Come dice il giornale inglese, si fa un tuffo negli anni ’80, con un furgone convertito a bar dove la musica accompagna una colazione a base di cappuccino freddo, yoghurt, frutta e il pranzo senza possibilità di scelta: si mangia quello che passa la mamma del proprietario. Per coccolarsi un po’, fino al tramonto.
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