giovedì 30 NOVEMBRE 2023
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Il giornalismo al tempo della crisi

Mimmo-FalcoQuali sono le differenze sostanziali tra giornalisti professionisti e pubblicisti in termini di diritti, doveri e opportunità lavorative, ne parliamo con Domenico Falco, consigliere dell’Ordine dei giornalisti della Campania.

Qual è la necessità di avere due albi per professionisti e pubblicisti?

Bisogna considerare il contesto storico-sociale. Dopo fascismo, che prevedeva gli albi unici, la legge n.69 del 1963 ha istituito un unico Ordine dei giornalisti che fa capo al Ministero di Grazia e Giustizia, con due albi: professionisti e pubblicisti, più un elenco speciale per i divulgatori che lavorano su siti specialistici e ordini professionali, come il Burc. All’inizio la differenza tra professionisti e pubblicisti era enorme: i giornalisti professionisti coloro che come unica attività scrivevano per la carta stampata ovvero un’ élite. Mentre i pubblicisti erano coloro che svolgevano un’attività diversa e in più pubblicavano degli articoli. Negli anni ’70 con il boom della tv commerciale le occasioni di lavoro per i giornalisti si sono moltiplicate e gli editori hanno iniziato ad usufruire dei giornalisti pubblicistici poiché il contratto di lavoro è meno oneroso dell’Art.1 con cui deve essere assunto un professionista.

Oggi qual è la situazione?

Oggi siamo in piena crisi dell’editoria, a maggior ragione gli editori preferiscono non assumere con l’Art 1, ma pagare i pubblicisti a prestazione professionale con l’Art 2, sebbene il reddito principale di un pubblicista dovrebbe provenire da un’altra attività. Il discorso è sempre economico: l’Art.1 prevede infatti l’iscrizione alla Casagit (Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani) e all’Inpgi (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani) con costi aggiuntivi per il datore di lavoro. D’altra parte anche gli editori sono in forte crisi economica e la Campania è l’unica regione che non ha una legge di sistema a sostegno dell’editoria locale.

Come si può diventare professionisti oggi? Conviene?

Ci sono ottimi giornalisti che non sono iscritti all’albo professionisti e, come dicevo, essere professionisti può addirittura essere controproducente per trovare lavoro. Inoltre diventare professionista non è affatto scontato. Attualmente per accedere all’esame di Stato ci sono tre strade: essere assunto come praticante professionista per 18 mesi, una strada molto onerosa per gli editori; la via universitaria ossia iscrivendosi ad un corso di studi biennale riconosciuto dall’Ordine dei Giornalisti, che in genere costa intorno ai 10 mila euro l’anno e che esclude in modo antidemocratico chi non ha la possibilità di sostenere quella spesa e infine il riconoscimento d’ufficio. In quest’ultimo caso, il giornalista deve presentare una serie di prove e di articoli che testimoniano che la sua unica professione è quella di giornalista sebbene non sia stato inquadrato come tale dal direttore della testata per cui lavora; una volta accertata la validità delle prove l’Ordine procede nei confronti del direttore e punisce con una multa l’editore.
Il concorso indetto dalla Rai nel 2014  è riservato ai soli giornalisti professionisti, ma non essendoci altri criteri selettivi si presenteranno in migliaia a fronte dei 100 posti disponibili e i tempi di assunzione saranno molto lunghi.

Cosa deve fare chi da pubblicista diventa professionista?

Ecco che si pone un altro problema: essendo le casse previdenziali differenti bisogna che passi dall’Inpdap all’Inpgi pagando molti contributi per fare il ricongiungimento.
Non è giusto punire con ulteriori oneri economici chi fa questo lavoro con fatica e passione, spesso guadagnando pochi euro ad articolo. Purtroppo, l’Unione Europea nel 2007 ha definito illegittimo il tariffario stabilito dall’Ordine perché siamo in libero mercato. L’unica cosa che regola lo stipendio minimo è l’Articolo 1, mentre chi è pubblicista non ha il diritto ad una paga minima, mentre il sindacato dovrebbe tutelare chi non ha diritti più di chi li ha già. E infine c’è un problema culturale: l’opinione pubblica identifica i giornalisti con i conduttori televisivi che guadagnano cifre da capogiro e così lo Stato continua a guardare a quella dei giornalisti come ad una professione di élite, mentre i tempi sono cambiati.

Quanto risente di tutto questo la qualità del giornalismo?

Direi che la qualità è scesa tantissimo anche per la diffusione dei siti web che spesso affrontano in modo superficiale le notizie, addirittura diffondendo notizie false. Ci vorrebbe più controllo poiché si rischia di diffondere addirittura notizie false. Ci vuole la responsabilità a fianco alla libertà. Mentre sui quotidiani stiamo assistendo all’omologazione dell’informazione: i direttori per non bucare le notizie, spesso concordano l’apertura. E in alcuni casi scelgono di non pubblicare le notizie. Ad esempio il 27, 28 dicembre scorso ad Afragola, 500 persone sono entrate nell’Ipercop per un esproprio proletario di generi alimentari ma nessun giornale ne ha parlato per non destare allarme pubblico. L’informazione libera non esiste più.

AdG

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